Sarò di parte, anzi lo sono ( e d’altronde essere col
Papa è essere davvero di parte, ovvero dalla parte della Chiesa) se dico che le
due serate di Benigni suo 10 comandamenti sono anche l’effetto benefico della
presenza di papa Francesco a Roma. Una volta rotto il cerchio pesantissimo del
conflitto con il mondo laico, conflitto a volte inevitabile ma spesso portato
avanti in modo insano, imprudente e degenerante, è venuto fuori Benigni a
parlare ininterrottamente di Dio per due sere, sulla TV di Stato. Io lo chiamo
miracolo. O comunque cosa impensabile solo fino a dieci anni fa, forse anche
meno. Quando persino i pochi minuti dedicati all’Angelus del Papa dai vari TG o
il tempo della Messa trasmessa ogni domenica dalle Tv ( private, tra l’altro) o
a qualche trasmissione di sapore religioso era considerato una sorta di attacco
alla laicità dello Stato, definita – al contrario non dirò della verità ma
dell’ovvietà – attraverso l’intolleranza verso ciò che è religioso. Punto.
Francesco ha cambiato pagina, senza abbassare la
dottrina, senza compromessi col patrimonio della fede, e guarda caso – se è vero che Dio muove il sole e l’altre
stelle – dopo un anno un Benigni inimmaginabile è uscito fuori, forse dalle
ceneri di quell’irriverente e sarcastico mattatore che conoscevamo ( e che ci
ha non poco divertito).
Due serate, specie la prima, indimenticabili. Un colmo di
gratitudine e di meraviglia. Forse anche di azzardo, come lui ha detto ( “ o mi
scomunicano o mi fanno cardinale”). L’azzardo di dire, di fonte a un 38% di
ascolto, che la cosa più importante è l’anima. In questa cultura che ha ucciso
l’anima, sembrava di sentire gridare la sentinella dall’alto della torre:”
Arriva il nemico, facciamogli festa!” Il nemico più grande di tutte le
volgarità, di tutte le sciocchezze,di tutte le porcherie, le bravate, i
tormentoni, di tante pubblicità ridicole, di tutti i personalismi di basso
livello di tanti uomini e donne della Tv, è proprio l’anima. Ebbene, l’anima è
stata riaccolta sul grande schermo e riproclamata dalla voce di un premio Nobel
che ha fatto parlare anzitutto la sua.
Benigni ha parlato di Dio. Cosa incredibile. Ne ha
parlato con stupore. Ininterrottamente, inesorabilmente. E quando si dice che
la predica deve essere abbastanza corta, sennò stufa, d’ora in poi si dirà Benigni docet. Se di Dio si sa parlare,
se dal parlare su Dio viene fuori un cuore innamorato, non c’è durata che
tenga. Nemmeno il minuto di silenzio della prima serata, proclamato e chiesto
per ascoltare quella voce che solo il silenzio fa percepire, nemmeno quello è
parso lungo. Alla faccia di tanti minuti di silenzio negli stadi che si concludono
– inevitabilmente – con un applauso. Contesti diversi, si dirà. Ma il silenzio,
se viene dall’anima, crea solo altro
silenzio e i silenzi creano ascolto. Benigni, senza mai citarlo, ha ricordato
l’essenziale di san Paolo:” La fede nasce
dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di
Cristo” ( Romani 10,17).
Qualcuno avrà ancora il coraggio di Dire che di Dio non si
può parlare? ovvero che – se Dio risuona per suo conto nella coscienza – si
deve tacere? Che la religione deve essere individualista ( e ognuno lo debba
essere )?
Roberto Benigni ha spezzato il filo cui si tiene appesa
incertamente la secolarizzazione. Credere si, ma non parlarne. Perché, se ne
parli, ti imponi e imponi, come se la parola fosse – di natura sua – una specie
di ghigliottina dei pensieri liberi, di un sorta di anarchia della mente che sarebbe
preferibile alla verità, da una verità che cerchiamo insieme ma avendo il
coraggio ( e l’umiltà) anzitutto di capire cosa c’è di alto, di grande nella
nostre anima, prima che nelle nostre opinioni più o meno informate.
Nell’anima c’è Dio. Ma il punto è se crediamo nell’anima(
e se la nutriamo, come lui ha stupendamente ricordato). Benigni ha
magistralmente detto che il primo comandamento suona così:” Io sono il Signore Dio tuo”. Ha
sottolineato quel “ tuo”. Non è un
Dio che si rivolga all’uomo come nei film da serial killer, dove il profilo e
tutto è uguale e tutto scontato. La debolezza del seriale ( quando lo prendono)
si rivela sempre quella di chi è programmato come una cosa ripetitiva e
asfissiante. Io sono tuo, dice Dio, e tu sei mio. Una relazione, un rapporto,
qualcosa di irripetibile, di individuale, di irriducibile a pure forme e a soli
dogmi.
E, se uccidiamo l’anima, uccidiamo l’uomo. Noi stessi.
Rendiamo – ha detto Roberto – vana la nostra vita. E come spot straordinario
per quel Dio che reclama attenzione e relazione, ha detto:” Siamo connessi con
il mondo ma disconnessi con noi stessi. Il corpo corre e l’anima rimane
indietro, boccheggiante”.
Fantastico Roberto. Non ha citato un autore cattolico ( piuttosto aiutanti poeti e
pastori valdesi) eppure ha compiuto l’opera più cattolica, nel senso di
universale ( vero significato del termine): ha stimolato milioni di persone a
riprendere in mano la Bibbia ( lo faranno?) e quelle 10 parole che hanno
cambiato il mondo e che rimangono nella coscienza di ciascuno di noi. Quelle 10
parole alle quali persino una Chiesa, a volte troppo preoccupata di abbellire
se stessa in liturgie o troppo ansiosa di mantenere le sue strutture, non ha
proclamato sempre con vigore. E con la meraviglia dimostrata da un laico.
Domani, a scuola, dirò ai miei alunni:” Lo vedete che
quando vi faccio le lezioni sulla Bibbia non sbaglio obiettivo?”. L’ignoranza
agghiacciante della Bibbia – basta fare lo zapping sui quiz televisivi e
spanciarsi di risate o amareggiarsi quando capitano le domande religiose –
quell’ignoranza che non pochi credenti combattono, forse con Benigni ha iniziato
ad essere picconata, come il muro di Berlino, almeno a livello pubblico.
Quando il linguista Tullio De Mauro, di sinistra e
ministro della Pubblica istruzione, lamentò il deficit di cultura biblica nella
nostra scuola, nessuno lo azzittò, perché era un vate della sinistra ( e un
uomo molto intelligente). Ora Benigni ha dato in qualche modo forma a quell’appello
e a quell’accorata ammonizione.
Grazie Roberto. Una pagina memorabile, per nulla bigotta,
è stata scritta. Ora chi, come il sottoscritto,
lavora faticosamente per essere annunciatore e – quando ci
riesce – affascinatore, nulla sarà come prima.
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